UNIVERSO FRAGILE

AMORE

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"La natura è inarrestabile, priva di scrupoli, diretta: distrugge ciò che a essa stessa appartiene. Che differenza c’è tra un uomo e un albero? Non siamo tutti parte della stessa essenza? Chi è natura e chi è uomo? Le stelle, l’universo, gli alberi, gli animali, noi uomini siamo tutti parte di una stessa cosa che è l’essenza della vita stessa."

Serie fotografica: Alessia Rapetti
Testo: Alessia Rapetti e Alessandro Livraghi

 

 

 

 

     La storia del culto comune ci insegna che è proprio dalla terra stessa che siamo nati. Mi chiedo spesso quale mondo ci sia dietro a un albero, a una foglia, a un frammento di terreno. Ci sono così tante creature che si muovono in un territorio che per noi sembra essere così silenzioso e “desertico”. Ogni albero ha una sua forma, una sua essenza, una sua storia. Il silenzio è la risposta a ogni nostro dubbio, pensiero, paura. Siamo esseri fragili contenuti in un mondo che galleggia nella vastità dell’infinito, un orizzonte così estraneo alla nostra mente da non poter essere concepito. In questo mondo è così rapido osservare la fragilità di ognuno di noi, spezzato da un lutto, da una perdita, da un accaduto. Così come ogni albero può essere spezzato da una tempesta che si abbatte al di sopra del bosco, da un lampo improvviso, da un soffio di vento troppo forte. Siamo così fragili eppure ci sentiamo così forti da poter pensare di comandare e ordinare il mondo naturale che ci circonda. La natura è inarrestabile, priva di scrupoli, diretta: distrugge ciò che a essa stessa appartiene. Che differenza c’è tra un uomo e un albero? Non siamo tutti parte della stessa essenza? Chi è natura e chi è uomo? Le stelle, l’universo, gli alberi, gli animali, noi uomini siamo tutti parte di una stessa cosa che è l’essenza della vita stessa. Gli alberi, come noi uomini, sono fragili, soli. Si amano, si distruggono, vengono distrutti, vivono. Siamo una cosa sola nell’universo.

     Nell’antico Epiro un popolo di savi plasmava il proprio futuro ascoltando le fronde degli alberi. Nel cuore della foresta sacra, intorno alla quercia del dio, i sacerdoti giacevano al suolo con le orecchie rivolte verso il centro della terra e allo stesso tempo al cielo. Il tempio non aveva architettura, era il bosco stesso: gli alberi i suoi pilastri, i rami il suo tetto. Un soffice letto di muschio accoglieva il sonno dei pellegrini che avevano nella foresta un giaciglio ovunque volessero. Molti accorrevano da lontano per ascoltare il vagito del vento che portava i suoi consigli, raccolti dalle antiche querce. In quel bosco vivevano uomini, spiriti e animali in totale armonia, rispettando ognuno i principi vitali dell’altro.
Per chi provasse a cercare quel luogo mistico non troverà altro che desolazione e abbandono.

I SOLITARI

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     Temperature incontrollate hanno fritto la condizione umana e le sue propaggini arboree. Branchi di scimmie hanno cominciato a divorarsi l’un l’altro per contendersi un canestro di frutta. Tutto è stato vestito dal metro del consumismo e la povertà semplice di una volta è divenuta ora povertà complessa, strenue lotta per la vita con metri di paragone irraggiungibili.
Bussole, metri, GPS, automobili, aerei, containers, Internet, satelliti, malattie…
una volta gli uomini percorrevano i deserti cantando e seguendo le melodie di flauti atavici, si fermavano solo nell’esatto luogo in cui tempo addietro erano stati concepiti da una madre dispersa. Il loro cordone ombelicale tracciava nella terra un legame indissolubile con il loro esserci. Ognuno poi imparava la sua canzone ed errava per tutta la vita alla ricerca della melodia ricomposta, seguendo paralleli stellari di mappe lette nella volta notturna.

I VINTI

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     Si contava con le proprie dita, si plasmava il mondo con le proprie mani e con la prossimità. Gli utensili non erano altro che protesi naturali prese in prestito da uomini che vivevano nei più angusti deserti del mondo. Ciò che non serviva ritornava alla natura. Ciò che pesava troppo per il viaggio ritornava alla natura.
Potresti chiamarli selvaggi, bifolchi e superati, ma tu continui a desiderare altro rispetto a quello che hai. A te sembra inospitale la tua casa anche se hai tutto, anche se niente può nuocerti nella tua realtà ovattata. Cosa ti stai perdendo? Quali silenzi non senti più? Perché piangi?

Alessia Rapetti
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Nasce in Liguria nel 1997.
Sta conseguendo il Diploma di Master in Architettura all’Accademia di Architettura di Mendrisio dopo aver conseguito la laurea triennale al Politecnico di Torino. La fotografia è per lei un gesto che ci permette di fissare un ricordo e di catturare l’istante in cui è stato curiosamente attratto il nostro sguardo. Permette di rendere materiale il pensiero ed il sentimento che si prova osservando un luogo, un oggetto, un animale o qualsiasi altra cosa presente in un determinato momento nel proprio campo visivo.  Tutti i mondi che si creano nella fotografia rappresentano lo spazio a cui apparteniamo. La fotografia è per lei un mezzo per stupirsi sempre nell’osservare la bellezza di ciò che ci circonda.