
Lampade al tungsteno : Giorgio Morandi e Luigi Ghirri
Sull’opera pittorica di Giorgio Morandi è già stato detto ampiamente da tutti i più grandi critici e storici dell’arte e aggiungere qualcosa che riguardi la sua vasta produzione risulta essere complesso per via della figura non allineata dell’autore, della sua personalissima capacità riflessiva e rappresentativa e dello stile pittorico non perfettamente affine alla produzione della sua epoca. Ma è sicuramente interessante notare come uno dei più grandi fotografi del novecento, Luigi Ghirri, abbia riscontrato in un dato momento della propria carriera interesse e affinità per l’opera del pittore, scattando una serie di foto all’interno del suo studio e mettendone in luce tutta una serie di interessanti dettagli che riguardano la speculazione generale affine ai due sulla materia del senso delle cose.
La produzione artistica di Morandi è da circoscrivere nell’ambito dell’arte contemporanea del primo novecento, quella che arriva alla sua grandezza grazie alla propedeutica riflessione cèzanniana sul colore e sulla materia della rappresentazione attraverso una scomposizione delle cose rappresentate sotto la lente della nuova era tecnologica aperta dall’elettrificazione. Cèzanne resterà per tutta la produzione di Giorgio Morandi una figura guida imprescindibile per il pittore bolognese. Ma dopo una prima fredda adesione al futurismo italiano, Morandi si accosta maggiormente alla crescente e intellettualizzata tendenza metafisica capitanata da Giorgio de Chirico. In questo periodo la riflessione sugli oggetti delle sue nature morte non è mai priva di una riflessione più generale sul senso della materia e dello spazio fisico in cui essa si plasma. Gli oggetti di Morandi, le bottiglie, le ciotole, i bicchieri ci parlano di una riflessione profonda sul senso nascosto dietro il buio del quotidiano, quasi solo che l’essere-in-quel-momento e in-quel-modo siano una dichiarazione di intenti sulla natura del mondo e della vita.
Luigi Ghirri ha fotografato lo studio di Morandi a distanza di circa vent’anni dalla sua morte. I colori delle opere del pittore emiliano sono una testimonianza dell’importanza della luce nella riflessione visiva dell’artista. La luce scava la materia mettendone a nudo la propria sofferente e malinconica dichiarazione di essenza: le cose sono, esattamente come gli uomini, come delle statue esposte all’erosione, al divenire, ritti dietro le ombre della propria meschina essenza.
Così il fotografo Luigi Ghirri, più celebre per la riflessione fatta intorno agli spazi e alle architetture che riguardano gli esseri umani, ha ragionato sullo spazio di lavoro del pittore bolognese, ricavandone alcuni scatti di magistrale fattura e di profonda bellezza. La riflessione fotografica e quella pittorica qui convergono come non mai in una comune e complementare ricerca di senso attraverso la composizione di luce e oggetti. Questi due autori, e la loro opera, hanno acceso una luce nuova, tenue e costante sul senso delle cose, come i fili di tungsteno incandescente all’interno delle lampadine. L’idea di questa luce, coniata dallo stesso Ghirri e raccontataci dallo scrittore Giorgio Messori, è quantomai calzante per comprendere una laboriosa e faticosa ricerca dietro la superficie delle cose.
Qui Ghirri non ha affatto cavalcato una tendenza di una mera riproduzione fotografica delle opere del pittore. Ha arricchito la nostra comprensione di esse attraverso un personale e tecnico contributo visivo grazie alla sua arte fotografica. Gli oggetti delle nature morte quindi assumono un nuovo e più profondo significato, cresce la loro testimonianza dell’essere al mondo, si costruisce un nuovo impianto di significato che ci parla della solitudine degli esseri umani e della bellezza della loro precaria esistenza.
E’ la testimonianza di due grandi uomini sulla possibilità che hanno le immagini di speculare ontologicamente, sulla volontà che hanno gli oggetti di lasciare il segno mentre la loro continua disgregazione fa il suo corso; è quella lampada continuamente accesa sul significato della nostra vita, sugli interrogativi profondi posti nel segreto del quotidiano. Due lampade al tungsteno si sono incontrate, e non si sono ancora spente.
Riccardo S. D’ercole