BATHSCEBA

Era l’alba, una distesa di costruzioni e di acque marine prendevano congedo dall’oscurità. Pian piano che la luce donava entità e corpo al creato, appariva come filtrata densamente dall’etere, sembrava alludere a un irrimediabile valore perduto. La notte, che di lì a poco si sarebbe dispersa nella fitta materia luminosa, sembrava celare uno strato di esistenza delle cose, come se un velo sottile aggiunto a ogni singola casa o anfratto rendesse la tristezza un’esperienza tangibile. Lì, nel procedere con lo sguardo a volo di uccello, si poteva scorgere un edificio disabitato da tempo, nel prestare orecchio allo spazio del suo circondario, si sarebbe potuto udire un sibilo ventoso attraversare le nude membra dei suoi piloni portanti: quel soffio sembrava lodare la natura nei termini di una possibile e necessaria riappropriazione dei luoghi. In quell’edificio, un’imponente facciata di muratura, animata dal ripetersi di fiochi lumi di finestra, conduceva lo sguardo verso i piani superiori dov’era situato un monolocale. Al suo interno un tanfo penetrante impregnava di una densità organica le pareti, tutto intorno un ambiente vissuto, dagli arredi spartani, dava atto di un maniacale disordine. Approssimando la visuale a quella di un ratto ci saremmo imbattuti in una promiscua patina di umidità e polvere.

La luce dell’alba, filtrata da una finestra nell’ambiente, rendeva visibile, adagiata sul velluto della pavimentazione, una pagina dattiloscritta, malconcia, dal testo parzialmente leggibile. In basso a destra c’era una firma autografa di Timothy Lothar. Nel testo si narrava di un olografico ambiente sintetico, circoscritto da palmeti e statuaria greca:

“Tralicci e basamenti, come oracoli e bastioni alle porte di un regno, dissipavano stormi elettrici di un azzurro e denso fumo elitario. Nel chiarore delle folgori, in una distesa di vuoti e calcestruzzo – ventre per ampie aree periferiche – una stanza consunta senza luce, dimostrava essere la dimora di Bathsceba. Sovrana di un regno leso, la realtà per Bathsceba si presentava come rimessa di una perpetua condizione al dolore. Profusa in una forma di innaturale incanto e celata da primordiali fattezze eteree la regnante amava essere rassicurata da mitiche realtà virtuali, trascurando gli avvenimenti che riguardavano le colonie conquistate. Da lontano, le giungevano voci di disastri ecologici che nell’elargire un ebbro frutto a intere popolazioni, si sarebbero proclamati cause di erranti esodi disperati; ancora, udiva di conflitti che nel controllo delle risorse idriche, sarebbero divenuti germoglio malsano per miserabili uomini-reietto”.

In quelle battute dattiloscritte non si leggeva altro: erano le uniche righe della narrazione. L’occhio, essendosi adeguato alla poca luminosità dell’ambiente, riuscì a scorgere poco più in là delle immagini sorrette alla parete da sottilissimi spilli. Al di sotto delle immagini, una didascalia a parete enunciava:

“Tessendo veli al compianto di un’epoca, nel breve disfacimento del reale, il tempo esige una catastrofe. Le anime dissolte in un lento trascendere estatico, si disperdono nel susseguirsi elettrico di spasmodiche gesta”.

Dopo aver letto l’epitaffio, la presenza della luce solare, ancor prima di brillare per riflesso di una pozzanghera sull’esterno, irradiò ed eresse un fior di frumento.

Di origini salernitane, classe ’81, Guido, ha conseguito negli anni  un diploma di maestro d’ arte, una laurea magistrale in scenografia e successivamente una laurea di secondo livello in fotografia come linguaggio d’arte. In questi anni di studi e dedizione alla sperimentazione fotografica, nonché appasionato di tecniche antiche di stampa e realizzatore di fotocamere-prototipo di fattura ottocentesca, Guido, si dedica in particolar modo alle tecniche di camera oscura tradizionale unite all’utilizzo di fotocamere stenopeiche. Successivamente, dopo gli anni di sperimentazione tecnica, giunge al linguaggio visivo e alle sue possibilità espressive. Espone in diverse mostre sia collettive che personali, viene coinvolto in residenze d’artista e firma articoli di fotografia stenopeica per l’Italia e l’estero. In particolare, si ricorda il riconoscimento ricevuto della “Royal Photographyc Society” di Londra come membro attivo in merito alla fotografia stenopeica con relativa pubblicazione sul “Rps Journal”. Qualche anno dopo, esporrà a  “Villa Pignatelli – Casa della fotografia” di Napoli con successivi incarichi di docenza per progetti didattici con gli allievi del Liceo Artistico “Sabatini-Menna” di Salerno. Attualmente, vive nel Salernitano e si occupa di coniugare  la ricerca narrativa al potenziale espressivo delle immagini.

La Redazione
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