
Antropomorto
È evidente che poter sviluppare un rapporto intimo con un territorio fino a considerarlo “proprio”, nella sua accezione puramente affettiva, sia una grande fortuna, nonché una dichiarazione di amore. Antropomorto è la visione fotografica soggettiva della pianura bolognese, della sua storia, dei capitoli che emergono significativamente, e di ciò che attrae quotidianamente l’occhio del fotografo e che viene catturato con la mente, con gli occhi e con l’obiettivo della macchina fotografica.
Viviamo nell’era dell’Antropocene, l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, è fortemente condizionato su scala sia locale che globale dagli effetti dell’azione umana. L’impatto dell’uomo plasma e sfregia, divenendo la causa primaria di un cambiamento permanente del pianeta. All’alba del terzo millennio, la mano umana è sempre più assente nei processi produttivi, relazionali e sociali e viene rimpiazzata dal segno che questa lascia tramite l’utilizzo di algoritmi, robotica, e automatismi.
Antropomorto è un progetto fotografico che si ispira a un editoriale della Società Fotografica Subalpina di Torino 1899 concepito da Enzo Petrusio nel 2019. Secondo l’autore prima, in fotografia, c’era l’uomo, deus ex-machina che si occupava di tutti i processi creativi e artigianali. La pellicola era materia. Materia era l’involucro che la conteneva. C’era un moderato fascino anche nel rituale dell’acquisto, dell’utilizzo e della gestione di tutto il percorso vitale della pellicola e della sua trasformazione. Si andava allo sviluppo, lì c’era un uomo, un tecnico o un negoziante che se ne occupava. Lo stesso uomo rendeva brevi manu l’opera. Ma in tutto questo la presenza umana era tangibile, te ne potevi anche accorgere dalle impronte digitali che talvolta lasciava sulle emulsioni. Successivamente sono arrivati gli algoritmi e la materia è sparita dentro un francobollo di plastica che chiamiamo scheda.
Le fotografie hanno smesso di esistere, noi crediamo di averle ma non ci sono più, almeno non il corpo. Sono numeri, codici infinitesimali che stanno nelle memory card. Sono diventate dei pattern replicabili come dei blade runner e come loro hanno perso la parte umana, quella più intima e personale. Hanno perso quella materia che occupava spazi nei cassetti di casa o dentro gli album.
(Enzo Petrusio, 2019)
L’assenza graduale della presenza umana nelle dinamiche relazionali del nostro territorio, così come nella nostra società, è il punto di partenza del progetto. Così come Petrusio ci illustra nel mondo della fotografia, anche negli ambiti quotidiani della vita di queste terre la presenza umana sta pian piano mutando, lasciando spazio ai segni che questa lascia silenziosa. Si stanno perdendo mestieri, relazioni, gestualità, ritmi e spazi, e se ne stanno ricreando di nuovi. Antropomorto non vuole denunciare il processo di abbandono, bensì tramite lo strumento della fotografia analogica, tecnica oggi antropomorta per natura, vuole far riflettere l’osservatore sulla condizione di questa campagna. Le foto raccontano questi spazi e ci accompagnano in un viaggio trascendentale nella campagna bolognese. Lo storytelling è caratterizzato dalla continua ricerca umana attraverso la ciclicità dei sogni, della vita e della morte, della rinascita e del continuo affermarsi di una nuova società umana.
Nicola Iafrate
Nicola Iafrate è nato e cresciuto nelle campagne bolognesi, nel nord Italia, dove vive tuttora con Anna, la sua compagna. Attualmente studia presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in Italia. Ha raggiunto il titolo di Laurea in Scienze Gastronomiche presso l’Università di Parma. Il fascino estetico e il potere relazionale del cibo lo ha portato ad approfondire questo percorso di studi. La passione per la montagna è l’eredità più preziosa di nonna Rosanna, insieme a una kodak retina 2a, grazie alla quale si è appassionato alla fotografia. Ha studiato fotografia allo Spazio Labò, rinomata scuola di fotografia in Italia. È appassionato di storia e vita all’aria aperta.