Serie fotografica e testi: Nicola Iafrate
Il processo di antropizzazione accelera inesorabilmente, nuovi scenari mettono in discussione la nostra percezione del tempo: il tempo analogico, oggi lento e farraginoso, è soppiantato dal tempo digitale, veloce e dinamico. Il medium analogico contraddice lo spazio-tempo dell’Antropocene: la materia è ingombrante, ed i processi richiedono tempi che non appartengono all’uomo contemporaneo. L’antitesi”Antropocene analogico” guida la riflessione di colui che vaga delirante alla ricerca del mistero della sua esistenza. Nasce così l’Antropomorto, la cui ricerca crea immagini sfocate come se fosse un sogno etereo.
Antropomorto è un concept indagato da più autori. Anam Kosurini lo propone nel suo libro “Funambolo sull’infinito. La strana ipotesi dell’ingegnere: l’antropomorto” tramite una riflessione sul mistero infinito della vita. Ispirandosi a questa ricerca la serie fotografica indaga il rapporto dell’uomo con il tempo e lo spazio, facendo luce su oggetti e scenari del passato e permettendo loro di rimanere in vita in una nuova dimensione. La storia del luogo, la prospettiva di tempi lontani, la ricerca romantica e l’introspezione costituiscono l’anima del progetto. Tramite la fotografia analogica, Antropomorto fa riflettere l’osservatore sull’evoluzione silenziosa del rapporto umano con lo spazio – tempo. La doppia esposizione gioca con queste due variabili, creando immagini complesse capaci di raccontare nuove storie viste attraverso le esperienze quotidiane dell’autore. Sovrapporre i fotogrammi significa sovrapporre tempo, luoghi, storie e persone; intrecciare passato e presente. Così i confini dei singoli istanti diventano eterei, quasi astratti; scenari e momenti si fondono e cessano di appartenere a una precisa unità temporale e a un luogo preciso. Il passato si mescola al presente e viceversa, consentendo all’osservatore di sviluppare la sua libera riflessione sul futuro.
Antropomorto è la personale riflessione che nasce dalle ceneri del mondo antropico e ultraveloce. Il confronto con i processi analogici, più misteriosi, lunghi e tangibili, ci rallenta, rendendoci per qualche attimo estranei dalla folle corsa. Rallentare significa anche fermarsi a osservare ciò che ci circonda, chiedendosi il perché della sua esistenza. Il tempo analogico è in grado di restituirci il dono della riflessione, il fascino dell’ignoto e l’emozione del desiderio. Lo sfondo nero sottolinea il distacco dal contesto specifico, consegnando le immagini all’ignoto.