Segue la nostra intervista a Filippo D’Eugenio, curatore di novembre per Nea Publishing.
Chi è Filippo D’Eugenio?
Sono un fotografo che vive e lavora a Milano. Mi sono trasferito qui tre anni fa, perché durante il Covid ho avuto questa illuminazione: lasciare il mio percorso in ingegneria e iniziare a dedicarmi completamente alla fotografia. La fotografia mi faceva stare bene, davvero.
Ho frequentato per due anni l’Istituto Italiano di Fotografia e ora, da un anno, lavoro come fotografo, principalmente nel campo dello still-life, qui a Milano.
Qual è il tuo approccio alla fotografia?
Lo still life è la parte della fotografia che preferisco perché mi permette di immaginare la foto e poi intervenire sulla costruzione dell’immagine. Nel ritratto, per me, tutto è più complesso; nello still-life invece mi sento proprio a mio agio. Mi piace immaginare un’immagine e poi realizzarla concretamente, passo dopo passo, per arrivare allo scatto finale.
C’è un evento significativo che ha segnato il tuo modo di fotografare o il tuo rapporto con la fotografia?
Sì: il Covid. Stare tanto tempo a casa da solo, a pensare, mi ha aiutato a capire che la fotografia era la mia medicina. E che dovevo sfruttarla davvero, al cento per cento, come lavoro.








C’è un progetto a cui sei particolarmente legato?
Il progetto a cui tengo di più è Warestone Win. È un’ode al marmo. Vengo da Forte dei Marmi, e lì il marmo è un elemento che sentiamo molto vicino: è parte del paesaggio, del lavoro, della memoria. Per me è un materiale che migliora ciò che tocca. Il progetto nasce proprio da questo legame.
Hai un progetto nel cassetto che vorresti realizzare?
Sì, mi piacerebbe molto scattare nel deserto. Amo i colori del deserto, le sue variazioni. Vorrei trovare un progetto che mi permetta di lavorare lì. Mi affascina l’idea di scattare in luoghi nuovi, con colori diversi. Io sono molto legato ai colori di base, quindi sarebbe una sfida stimolante.




C’è un fotografo del passato che ti ha segnato o ispirato?
Senza dubbio Martin Parr. I suoi colori mi hanno sempre colpito.
Tra i contemporanei invece direi Piero Percoco. Anche lui mi ha segnato molto. Io volevo fare quello che le sue foto hanno fatto con me: emozionare le persone come io mi sono emozionato guardandole.
C’è uno scrittore che vorresti scrivesse a partire dalle tue foto?
Forse D’Annunzio. Era molto preciso nelle descrizioni, e La pioggia nel pineto è la mia poesia preferita. Quando la leggo sento proprio di essere lì. Mi piacerebbe che potesse descrivere le mie immagini con quella forza sensoriale.
Puoi suggerirci qualche autore per le future curatele di Nea?
Il primo è Patrick Shalabra. L’ho conosciuto quest’estate durante una residenza artistica sul Monte Lagazuoi e mi ha colpito molto.
Il secondo è Nicolas Polli. È svizzero, ed è un autore davvero interessante.
Polli è il mio opposto, le sue foto sono scure, piene di oggetti, dense; le mie sono minimaliste, chiare e con colori accesi. Proprio per questo lo ammiro.
Patrick invece lavora molto con il bianco e nero, e lo fa in un modo che piace perfino a me, che raramente apprezzo il bianco e nero.







