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Luca Secchi, Romagna Games, in corso

february curator / year 2025 /

Luca Secchi

Intervista a cura di Federica D'Ercole

Qui la nostra chiacchierata con Luca Secchi, in arte Oni Bakuu, curatore di Febbraio per Nea Publishing.  Ci introduce nel suo universo roboante fatto di flash sparati sulla realtà che lo circonda e attraverso i quali legge il suo personalissimo mondo, un mondo su cui ha deciso di sparare luce per “essenziare” le cose che accadono, le cose che lo incontrano e lo attraversano.

Ci racconteresti, innanzitutto, chi è Luca Secchi?

Ho un background da teorico, mi sono avvicinato alla fotografia al modo in cui Descartes ha elaborato il suo Discorso sul metodo: dopo anni passati sui libri Cartesio ha infatti capito che la verità si nasconde nel mondo, nella realtà che ci circonda, nella conoscenza e nell’esperienza che ne facciamo. Pertanto ho scoperto la mia personalità attraverso la fotografia e la mia vita dipende ormai da questo: sono un povero «guaglione» che cerca di sopravvivere nel mondo delle partite IVA, in quel mondo che è oggi la fotografia.

Qual è il tuo approccio alla fotografia?

Per me la fotografia è uno strumento attraverso il quale conosciamo il mondo, un catalizzatore, uno strumento che causa l’accadere delle cose, che produce situazioni, unisce persone e genera incontri. Questo accadere mi ha sempre stimolato, la fotografia mi ha fornito spesso l’occasione di vivere situazioni uniche che hanno influenzato il mio modo di vedere il mondo attraverso l’obiettivo fotografico. La fotografia è dunque l’accadere stesso delle cose, oltre la realtà per come la percepiamo, al di là dei suoi schemi visibili e immediatamente percepibili.

C’è un evento significativo che ha influenzato il tuo modo di fotografare?

Si, certo. È stato nel 2021. La mia investitura, il momento in cui ho capito di voler fare il fotografo, è avvenuta su un set cinematografico. Facevo l’assistente alla regia per un documentario di Sky, La Mala, ed ero sul set con gente tipo Achille Serra, con cui dovevo girare delle esterne in macchina a notte fonda. Credo sia stato uno degli stage più tosti che abbia mai fatto. Il fotografo di scena era Luca Matarazzo, l’autore di Eromata, un racconto antropologico sull’erotismo interamente realizzato in Polaroid che oggi conta più di 7000 scatti. Quel giorno avevo portato la mia macchina fotografica sul set e gli chiesi di farmi vedere come usare il flash. Matarazzo ha preso la mia macchina è ha semplicemente impostato il flash ed è stato in quel momento che ho letteralmente visto la luce e per me si sono spalancati i cancelli del paradiso. A partire da quel momento, ho sviluppato la mia tecnica fotografica che prevede l’utilizzo spasmodico del flash: le foto col flash sono la cosa che mi piace di più. Amo usare il flash sulla camera, il doppio flash, i trigger, adesso ho persino comprato una ring light da apporre sul flash che trasforma la macchina fotografica in una specie di stroboscopio che adoro spiaccicare sulla faccia della gente.

«Nonostante io creda che l’arte non esista, ho pubblicato un libro come artista. Infatti se dovessi descrivermi, direi anche che sono un tipo che predica male e razzola bene.»

C’è un tuo progetto fotografico a cui sei particolarmente legato?

Sicuramente Chaos is us: è stato il mio primo progetto da autore. Praticamente quel progetto sono io, c’è una parte di me lì dentro. È veramente la cosa più importante che abbia mai fatto. Nonostante io creda che l’arte non esista, ho pubblicato un libro come artista. Infatti se dovessi descrivermi, direi anche che sono un tipo che predica male e razzola bene: dico cose spesso aberranti ma di solito faccio la cosa giusta. Chaos is us è esattamente questo, una delle cose giuste che ho fatto.

Hai nel cassetto un progetto fotografico che vorresti realizzare?

Si ho in cantiere un progetto particolarmente personale che si chiama Romagna Games. È un progetto composto da dittici fotografici. Io sono molto appassionato di videogiochi nella misura in cui il videogioco si vive, ed è questa l’impronta con cui ho analizzato anche il punk in Chaos is us. Mi interessa la loro dimensione corale, estetica, personale, anche se questo progetto è sicuramente più espressionista. In altre parole, Romagna Games è una sinfonia urbana della riviera romagnola, è incentrato sui nonluoghi e sulle sale giochi, ed è scattato tutto con il flash. È un progetto in cui le persone non ci sono, la presenza umana è trattata alla stregua di ospite, non è protagonista, le persone se ci sono sono sfocate o in secondo piano. Sono molto legato a questo progetto perché è interamente dedicato a un mio amico che è venuto a mancare: è lui il protagonista di uno degli scatti principali. Qui ho cercato di rivivere quello che per me rappresentavano il mare e le sale giochi quando ero piccolo e ho cercato di inserirlo in un racconto molto poetico, volutamente poetico. È il testamento di un’amicizia, dedicato a una persona straordinaria che per me ha significato molto. È diverso da Chaos is us, quel progetto l’ho letteralmente trovato, mi si è spiaccicato in faccia come un moschino sul parabrezza. Questo invece l’ho tirato io fuori dal cilindro ed è un progetto estremamente personale in cui esploro una cosa mia che è anche molto difficile da comunicare. Qui c’è il mio modo di vivere agli inizi degli anni 2000 i cabinati sulla riviera, le sale giochi al mare, i colori, ma ci sono anche i nonluoghi, internet e le mie ossessioni odierne, tipo le foto fatte con la prolunga macro agli schermi. Sono molto legato all’estate, credo sia una stagione bellissima, la stagione in cui ci si stacca da tutto. È un progetto che credo sia davvero contorto e difficile da far digerire. Nonostante io sia un grande fan della fotografia come mezzo espressivo che deve parlare da solo, credo che questo progetto necessiti di una spiegazione, di una chiave di lettura. È estremamente lirico e forse non ha la forza comunicativa del progetto sul punk, ma qui ci sono io come autore, come io, come artista. Ma devo ancora capire bene quello che voglio comunicare.

Un progetto a cui ti piacerebbe lavorare in collaborazione con altre personalità?

Mi piacerebbe molto entrare in contatto con altri fotografi. Infatti della fotografia mi affascina molto il fatto che la macchina fotografica sia un occhio attraverso il quale guardare la realtà e fermarla e che ogni occhio sia diverso dagli altri. Mi interessa anche il rapporto tra foto e scrittura e in questo Nea è una figata. Credo che sia molto bello quando la foto non rappresenta solo un corollario della scrittura ma diviene un mezzo protagonista, che aumenta ulteriormente il potenziale comunicativo della narrazione.

C’è un autore che vorresti scrivesse a partire dalle tue foto?

Sarebbe bellissimo se quell’autore fosse Niccolò Ammaniti, il primo Ammaniti però, quello più dark e pulp. Sì, se dovessi scegliere uno scrittore sarebbe lui, con il suo piglio viscerale che penso descriverebbe molto bene le mie foto del punk. Dalle mie foto infatti vedo emergere un tipo di scrittura viscerale, una scrittura di sensazione, tattile, che ha a che fare col sangue.

C’è un autore del passato che ti ha ispirato particolarmente e a cui sei legato?

Come modus operandi c’è un libro sul punk che credo sia una vera figata: The Station del fotografo irlandese Chris Killip. Killip andava ai concerti punk in Irlanda con il banco ottico e il flash tipo al magnesio e faceva le foto al punk: uno squilibrato. Le sue sono foto dettagliatissime e perfette, in bianco e nero, con scale di grigio da banco ottico fenomenali. Io apprezzo tantissimo chi riesce a portare un medium che non c’entra un cazzo in un campo artistico totalmente estraneo. Killip ne era assolutamente capace.
Un altro autore che mi piace molto è lo statunitense Bruce Gilden. Adoro le foto alle persone in strada, io sono molto Gilden ai concerti punk. Ho provato a emularlo, anche se lui è molto antipatico, e infatti non ce l’ho fatta perché proprio non riesco a essere antipatico.

C’è un autore contemporaneo a cui affideresti la curatela di Nea?

Sì certo, io lo considero un grande autore ma in primis è un mio amico: un fotografo pugliese, appena tornato a Taranto, Cataldo Lucchese (detto Dino @brodinostar), uno dei più forti che io conosca. Lui ha tutti i numeri per diventare un fotografo artista. Anche lui usa molto il flash, anche se è più da cavalletto. È un uomo con una cultura fotografica incredibile e soprattutto è giovane. I vecchi devono andare a fanculo.

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