Costantino Forte, Venezia
Partiamo dalle basi: Chi è Costantino Forte?
Be’, diciamo che sono un ragazzo di quarant’anni che si è laureato un anno fa in ingegneria. L’ingegneria è il mio lavoro, ma la fotografia è una parte fondamentale di me. La pratico seriamente, credo, da quando ero all’università, anche se in realtà ho sempre avuto una macchina fotografica tra le mani fin da piccolo, ho sempre scattato anche con le macchinette automatiche o usa e getta o con la macchina fotografica di mio padre. Mi definirei una persona normale.
Qual è il tuo approccio alla fotografia?
Negli ultimi anni ho abbandonato un approccio standard. Se ho un’idea, adatto il mezzo a quell’idea. Prima ero più rigido, legato magari a un tipo di fotografia più tecnica e al documentario con cavalletto e attrezzatura specifica. Ora invece stravolgo un po’ quella concezione: uso quello che ho a disposizione, dagli screenshot ad attrezzature insolite, in base a ciò che voglio esprimere. Non ho un tema predefinito. Ad esempio esco a camminare, scatto delle foto e poi il progetto prende forma in divenire. Sono meno rigido rispetto agli inizi. Ultimamente mi interessano molto le tematiche legate ai social e alla città in generale, però mi adatto, sono abbastanza poliedrico.
C’è stato un evento significativo che ha segnato una svolta nel tuo modo di fotografare?
Sì, sicuramente. Aver fatto un corso di fotografia durante l’università con Michele Cera è stato importante perché lì ho scoperto realmente la fotografia documentaria. A partire da quel momento ho iniziato seriamente a fotografare, è stato il vero punto di svolta. Poi, l’incontro con Guido Guidi ha rappresentato un altro momento essenziale della mia formazione che mi ha spinto verso un approccio più ragionato e organizzato alla fotografia. Ho iniziato a studiare la storia della fotografia e a leggere molto sull’argomento.
Hai un progetto fotografico a cui sei particolarmente legato?
Sì, il progetto a cui sono più legato è A day of Selfie, da cui è nato un libro massiccio, gigante. Nel 2019 ho aggiornato la pagina Instagram con l’hashtag #selfie ogni minuto, facendo uno screenshot, per ventiquattro ore. Poi ho immaginato di racchiudere tutto in un libro, che pesa circa 2,5 kg. Essendo un po’ critico verso la cultura dei selfie, volevo rendere in maniera concettuale il «peso» di questa produzione quotidiana, il peso della spazzatura che produciamo ogni giorno, anche se poi le singole immagini non sono realmente significative.
C’è un progetto fotografico che vorresti realizzare in futuro? Qualcosa che hai nel cassetto?
Sì, ne ho un sacco, non si contano. In particolare ce ne sono un paio. Di uno preferisco non parlare perché è un po’ borderline, mentre un altro riguarda lo spam di Instagram che tormenta un po’ tutti. È un progetto che sto portando avanti lentamente. Ho messo su una specie di calendario 2025 con queste «ragazze copertina» che ti scrivono e cercano di portarti sui loro siti con foto rubate o molto ritoccate. Ma questo è solo il punto di partenza, è un’idea che sto approfondendo.
Quindi sembra che tu sia partito con una fotografia più leggera e giocosa, per poi incontrare figure come Michele e Guido Guidi che ti hanno spinto verso aspetti più tecnici e rigorosi, soprattutto nella fotografia documentaria?
Sì, è un’analisi precisa. Inizialmente il mio approccio era più istintivo. L’incontro con Michele Cera mi ha aperto il mondo della fotografia documentaria, mentre Guido Guidi mi ha spinto a una riflessione più profonda sul linguaggio fotografico e sulla presentazione del soggetto.
Questa evoluzione è avvenuta naturalmente o c’è stata una riflessione specifica dietro?
È successo tutto un po’ naturalmente, ma anche per via di una riflessione sui mezzi a disposizione e sul contesto contemporaneo. Il progetto sui selfie è stato concepito anche a partire da una contingenza effettiva: sviluppare la pellicola era oneroso, quindi ho utilizzato lo screenshot come immagine digitale di riferimento. Volevo parlare di quel fenomeno con i mezzi che avevo a disposizione. Ho avuto riscontri anche da persone all’estero, Erik Kessel ad esempio, ha apprezzato molto il lavoro. In Italia, forse perché il tema è un po’ «scomodo», ha avuto meno eco. Ma preferisco affrontare queste tematiche perché mi sembra che se ne parli poco, anche se sono centrali e riguardano tutti.
Hai accennato alle difficoltà nel mondo dell’arte in Italia. Pensi che ci sia un problema di accesso o di riconoscimento per i giovani artisti?
Assolutamente. Spesso, anche se realizzi un progetto bellissimo e spendi tanti soldi, non è detto che tu riesca a esporre o a ricevere il giusto riconoscimento. L’ingresso in certi circuiti è difficile. Bisognerebbe fare più cultura vera.
Hai qualche progetto in relazione con altri fotografi che ti piacerebbe realizzare?
Mi piacerebbe molto realizzare un progetto con Erik Kessel, magari, sarebbe bellissimo. Ma in generale mi piace molto collaborare con altri fotografi contemporanei. Tra poco uscirà un libro sull’Arneo, un territorio specifico della Puglia, a cui hanno partecipato diversi fotografi del mio genere, e sono contento di farne parte. Sono molto aperto alle collaborazioni, ben vengano.
C’è un autore o uno scrittore che vorresti scrivesse a partire dalle tue opere?
Mi piacerebbe che fosse Nicolò Ammaniti. Ho letto alcuni suoi libri e mi piace il suo modo di raccontare. O anche Sorrentino, sarebbe una figata se scrivesse qualcosa a partire dalle mie foto.
C’è un fotografo del passato che ti ha ispirato particolarmente?
Be’, ce ne sono tantissimi. Robert Frank e Walker Evans sono sicuramente in cima alla mia lista, nell’Olimpo assoluto. Il lavoro di Robert Frank The Americans mi ha influenzato molto, è un libro che continuo a riguardare e che trovo sempre affascinante.
C’è qualcuno tra i tuoi contemporanei che ci suggeriresti per la curatela di Nea?
Sì, Rosa Lacavalla. È una ragazza originaria di Barletta, ma vive a Bologna. La stimo tantissimo perché è bravissima. Nomination per lei, assolutamente. Trovo che abbia uno sguardo contemporaneo e delicato allo stesso tempo, sia come persona che come fotografa. C’è una delicatezza che mi piace molto. Oltre a essere veramente brava, secondo me. Il mondo della fotografia è vastissimo e influenzato da tante correnti, Rosa rappresenta un bel mondo internazionale.